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Dolore da cancro: oncologi e pazienti chiedono l'uso di farmaci più appropriati
Vera Lanza, N. 11 novembre 2012
Le persone che ogni anno si ammalano di tumore sono milioni. Circa 17. Non è dunque azzardato affermare che il dolore è uno dei principali problemi sanitari. Secondo uno studio del 1997 condotto in Inghilterra e Galles il 50% dei soggetti con tumore, in qualunque stadio, ha dolore e tale percentuale arriva al 75% quando la malattia è in fase avanzata (Higginson 1997). Eppure c’è ancora molto da fare quando si parla di terapia del dolore, di dolore cronico, di dolore da cancro. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda un approccio multidisciplinare che miri a migliorare sia il sintomo dolore, sia l’aspetto psicologico del malato e dei familiari. E insiste sulla necessità di una costante collaborazione tra gli operatori sanitari, il malato e i familiari. Il dolore cronico costituisce una presenza importante nella vita di coloro che soffrono di una patologia neoplastica: secondo quanto affermano gli specialisti, oltre la metà dei pazienti ( 54% ) convive con la sofferenza fisica, nel 68% dei casi di intensità moderata-severa. Il cancro al colon-retto, al seno e al polmone sono le tipologie di tumore più diffuse. Un’indagine commissionata dal Centro Studi Mundipharma e condotta dall’istituto di ricerca Demoskopea a livello nazionale (nel periodo Maggio-Giugno’12) su 200 oncologi e 200 pazienti colpiti da tumore ( 60% donne, età media 44 anni), fotografa lo scenario attuale del trattamento del dolore da cancro in Italia. E il quadro che ne emerge non è del tutto confortante: la situazione è controversa e non sempre felice, e ci sono alcune significative discrepanze tra i 2 campioni intervistati, in merito alla misurazione della sofferenza e alle cure prescritte. Secondo la ricerca, da un lato, c’è il desiderio dei pazienti di ricevere cure più efficaci e una maggiore attenzione da parte di medici e Istituzioni; dall’altro, la necessità espressa dagli oncologi di terapie con minori effetti collaterali, nonché di farmaci oppioidi a dosaggi più elevati, per rispondere in maniera più adeguata alle esigenze antalgiche dei propri assistiti. La situazione va affrontata e presto viste le conseguenze per gli ammalati: per 6 pazienti su 10 il dolore, specie moderato-severo, incide sulla qualità della vita, limitandone le attività, mentre un terzo degli intervistati lamenta disturbi derivanti dalla terapia in atto. Secondo 6 specialisti su 10, inoltre, oggi si ricorre ancora troppo poco ai medicinali oppiacei, rispetto a quanto accade con i FANS. Il 64% degli oncologi ritiene che in Italia manchi un’adeguata conoscenza degli oppioidi, il 62% giudica il loro impiego sottodimensionato a favore dei FANS e un complessivo 87% segnala di aver incontrato resistenze (spesso 33%, qualche volta 54% ) presso i medici di medicina generale nel prescriverli. Uno scenario confermato anche dalle risposte dei pazienti: quasi la metà, infatti, ignora che cosa siano gli oppioidi e il 46% conferma la scarsa propensione di certi medici a consigliarli nel trattamento del dolore. Tra gli oncologi, 8 su 10 dichiarano di misurare sempre la sintomatologia dolorosa, utilizzando come primo strumento la scala numerica da 0 a 10. Il dato è in parziale contrasto con quanto emerso dalle interviste ai pazienti, un terzo dei quali lamenta il fatto che il proprio medico generalmente non misuri l’intensità del dolore. Inoltre, quasi 1 malato su 3 con dolore severo rivela di non ricevere alcun trattamento antalgico. La ricerca ha evidenziato che occorre ancora insistere sulla formazione dei clinici e sulla comunicazione ai cittadini, sia per promuovere la conoscenza della Legge 38, sia per favorire un approccio terapeutico più appropriato al dolore neoplastico, in grado di garantire a questi pazienti l’assistenza e l’attenzione cui hanno diritto. In conclusione, la fotografia che si evince da questa indagine sul trattamento del dolore da cancro mostra una situazione in parte controversa. Se, da un lato, gli specialisti dichiarano una forte attenzione al malato e un comportamento che nel complesso segue le Linee Guida, i pazienti rivelano un quadro più eterogeneo e meno idilliaco, soprattutto per quanto riguarda la misurazione costante del dolore, i farmaci prescritti e l’impatto reale che la sofferenza fisica ha sulla qualità di vita. Su un aspetto, però, entrambi i campioni concordano: la reticenza dei medici, e in particolare dei generalisti, a fornire un’adeguata informazione sugli oppioidi e a prescriverli.
Gli oppiodi e i fans
Per il controllo del dolore cronico moderato, gli oppioidi vengono impiegati in monoterapia dal 26% degli oncologi, mentre il 54% li somministra in associazione a farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Il quadro prescrittivo cambia, quando il clinico deve trattare un dolore severo: in questo caso, in accordo con le Linee Guida internazionali, nell’ 83% dei casi la terapia di prima linea è costituita quasi esclusivamente da oppioidi forti, mentre è marginale ( 11% ) la loro associazione con FANS. Le risposte dei pazienti rileverebbero invece un elevato ricorso agli antinfiammatori ( 45%, da soli o in associazione a oppiacei), prescritti soprattutto dal medico di famiglia, contro il 34% di oppioidi (da soli o in associazione a FANS), il cui impiego è diffuso in particolare tra coloro che affrontano il problema con lo specialista. Nel trattamento del dolore cronico, sia moderato che severo, gli oncologi dichiarano un buon livello di soddisfazione circa l’efficacia degli oppioidi, in particolare di quelli forti, mentre il giudizio sui FANS è più contenuto. Un’ulteriore riprova arriva dall’atteggiamento adottato dai clinici in caso di effetto analgesico non ottimale: fino al 63% di chi prescrive oppioidi forti, infatti, tende ad aumentarne il dosaggio piuttosto che passare ad un’altra classe farmacologica; al contrario, nel caso dei FANS si registra uno switch terapeutico che raggiunge il 63% dei casi. Insoddisfatto degli antinfiammatori anche il 39% dei pazienti, mentre un complessivo 85% conferma l’efficacia degli oppiacei. La presenza di effetti collaterali derivanti dai trattamenti terapeutici in atto viene evidenziata da entrambi i campioni, benché il loro impatto sulla qualità di vita sia sottostimato dai medici, rispetto a quanto segnalato dai malati. In particolare, questi ultimi lamentano la comparsa di disturbi gastrici, costipazione e sonnolenza. Nel complesso, l’esigenza più avvertita dagli oncologi per un miglior controllo del dolore è di poter contare su medicinali meno "invasivi" ( 54% ) e, nel caso degli oppioidi, potersi avvalere di farmaci con dosaggi superiori rispetto a quelli oggi disponibili ( 48% ). Cure con minori effetti collaterali sono anche tra i desiderata dei pazienti, insieme alla richiesta di terapie più efficaci e di un maggiore supporto da parte dei clinici e delle Autorità sanitarie.
Per il dolore cronico spesso le cure arrivano dopo 4 anni. Colpite il 40% delle donne
Attendere fino a 4 anni, con punte di 23 anni dalla comparsa della sintomatologia per una diagnosi di dolore neuropatico. Sembra inverosimile ma è così. Questo dato risulta infatti da una indagine condotta dall'Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da.) su 400 pazienti ( 26% con dolore neuropatico) fra i 24 i 92 anni, selezionate fra vari ospedali italiani premiati con i bollini rosa che si occupano e curano il dolore. Ed è confermato dall'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) secondo la quale in Occidente ben oltre 12 milioni di donne ( 39,6% contro 31% di uomini), e con un sensibile aumento con l’avanzare dell’età ( 30.4% prima dei 18 anni, 40.1% dopo i 65), soffrono di dolore cronico grave. È rappresentata proprio dal ritardo diagnostico la maggiore criticità nel trattamento del dolore: basti pensare che le pazienti giungono alla prima visita, indirizzate dal medico di base ( 35% ) o da un diverso specialista ( 53% ), con una sintomatologia dolorosa più che avanzata e una intensità di dolore dichiarata intorno all'8, quando la punta massima è 10. Causato nella donna per la maggior parte da polineuropatie e radicolopatie ( 58 %), il dolore è spesso localizzato in una ( 62% ) o due ( 24% ) sedi con prevalenza agli arti inferiori ( 48%) o alla colonna vertebrale ( 45% ). Solo nel 6% dei casi viene definito come generalizzato. In relazione alle sfere di influenza e alle crescenti proporzioni, il dolore cronico deve dunque essere considerato un problema di salute pubblica prioritario. Eppure in Italia l’attenzione a questa problematica è ancora molto scarsa o quasi del tutto assente. Solo il 2% dei malati sia seguito da un medico specializzato nella cura del dolore. La terapia di elezione per il controllo delle sintomatologie dolorose è di tipo farmacologico; all'incirca 40% di donne hanno fatto ricorso almeno una volta ai FANS o a trattamenti blandi con paracetamolo ( 20% ) o nei casi più drammatici a terapie pesanti con oppioidi minori ( 25% ) o maggiori ( 4% ), antidepressivi ( 8% ) e miorilassanti ( 18% ). Ma è molto elevato anche il numero di pazienti ( 60% ) che si è affidato a terapie alternative quali fisioterapia, massaggi ( 34% ) o terapie fisiche ( 29% ), ionoforesi ( 10% ), blocchi antalgici ( 16% ), agopuntura ( 10% ) o interventi chirurgici per il dolore ( 4% ) senza ricavarne rilevanti benefici per la qualità della vita. Sono infatti circa il 25% di pazienti a ritenere che il dolore cronico abbia avuto ripercussioni importanti su stati emotivi e psichici ( 21% ) o sul lavoro con una perdita di almeno 2 settimane di attività nell’arco di un anno, fino a punte massime di 61% di malati che dichiarano di non essere stati più in grado di lavorare e ben il 19% che ha perso il proprio impiego.
12 milioni di italiani soffrono di dolore cronico, il 56% sono donne; nasce una nuova struttura per la cura a Milano
Il 21% degli italiani, pari a oltre 12 milioni di individui, soffre di dolore cronico. Tra questi la maggioranza è rappresentata dalle donne, che sono circa il 56%. A dirlo, fanno sapere dal CDI, il Centro Diagnostico Italiano, sono i dati forniti dalla "Relazione sull'attuazione delle disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore". Inoltre, sono oltre 151.000 le persone che ogni anno muoiono di cancro e che necessiterebbero di cure e assistenza dedicata per migliorare la qualità di vita. Proprio per curare chi soffre di dolore cronico è nata una nuova struttura dedicata alla cura del dolore come malattia e non solo come sintomo di altre patologie: si tratta del centro di medicina del dolore del centro diagnostico italiano di Milano, servizio integrato costituto da un team multidisciplinare di specialisti per la diagnosi e la terapia del dolore cronico. In accordo con le più avanzate prospettive della medicina moderna, il centro nasce con l'obiettivo di identificare, attraverso l'uso di strumenti diagnostici d'avanguardia, la causa dei casi di dolore cronico molto complessi e, nei pazienti colpiti da più malattie, individuare la patologia che effettivamente è responsabile della loro sofferenza.
Dolore cronico, gli sviluppi della legge 38
Il dolore cronico ha dimensioni che non si immaginerebbero. Ne soffre 1 italiano su 4, il 65% delle casalinghe e il 74,4% degli anziani. È una vera e priorità di salute pubblica che comporta nel nostro Paese oltre 3 milioni di ore lavorative perse e una spesa pari a 2 miliardi di euro in prestazioni e farmaci. Nonostante la guerra contro la sofferenza inutile non sia ancora definitivamente vinta, la Legge 38 del Marzo 2010 ha avuto una portata storica per l’Italia, riconoscendo a tutti i cittadini il diritto a un equo accesso alle cure e a trattamenti più appropriati, ma contribuendo anche a sdoganare l’impiego degli oppioidi a scopo antalgico. Già 12 mesi dopo la sua approvazione, il consumo procapite di oppiacei forti era salito del 24,3%, segno inconfutabile di un cambiamento in atto. Per arrivare alla Legge 38/10 il percorso è stato lungo e tormentato. Ci sono voluti anni e si sono succeduti ben sette Ministeri. Oggi senza dubbio si è evoluta la gestione del dolore nel nostro Paese ma occorre continuare a informare correttamente per promuovere una nuova cultura che si prefigga la lotta alla sofferenza inutile. Dopo una presa di coscienza iniziale del problema, con la nascita delle cure palliative negli anni ‘70, si deve attendere il 2001 e l’allora Ministro della Salute Umberto Veronesi per assistere al varo del progetto "Ospedale senza Dolore" e alla prima svolta legislativa che iniziò a semplificare la prescrizione degli oppiacei. «Non vi è confine che debba frenare la scienza nell’obiettivo di spostare il fuoco dal curare il dolore a prendersene cura – afferma lo stesso Veronesi nella prefazione al libro "Cronaca di una legge che ci difende dal dolore. La Legge 38/10, la più evoluta d’Europa", scritto da Marco Filippini e Manuela Maria Campanelli – perché seppure esso faccia parte del naturale ciclo vitale, non deve diventare esperienza mortificante e avvilente per la dignità di ogni creatura umana». Il cammino è stato lungo e difficile, contraddistinto da piccole vittorie ma anche ostacolato da pregiudizi ideologici. Solo dieci anni più tardi, nel biennio decisivo 2009-2010 con il Ministro Ferruccio Fazio, si arriva all’approvazione bipartisan della Legge 38, nel Marzo 2010. A venti mesi dall’emanazione della normativa il bilancio è sicuramente positivo, secondo Guido Fanelli, Coordinatore della Commissione ministeriale Terapia del Dolore e Cure Palliative. Gli strumenti tecnico-burocratici per rendere operativa la Legge 38 sono stati ultimati e il consumo di oppioidi sta crescendo a doppia cifra, ma servono ulteriori sforzi per allinearci alla media europea. «La Legge parla di tutela, garanzia e dignità – sottolinea Fanelli -. Per far sì che quanto previsto sulla carta si concretizzi nella pratica clinica, ora la sfida si gioca su tre fronti: applicazione delle Linee Guida sul territorio, formazione degli operatori sanitari e appropriatezza prescrittiva». Per dare piena attuazione al provvedimento, il Ministero della Salute è impegnato anche nel dare impulso ad attività volte ad educare i cittadini sull’importanza della terapia del dolore. Il varo della Legge 38 ha comunque stimolato nell'ultimo anno e mezzo un maggiore interesse nei confronti del dolore e l'avvio di numerose iniziative di sensibilizzazione e informazione. Molte di queste provengono dal mondo del non profit. Ne è un esempio il Premio Giornalistico promosso dall’Associazione Vivere senza dolore, con il grant incondizionato di Mundipharma, per stimolare il dibattito dei media sul tema. «Quanto più si conosce, tanto più le scelte effettuate sono ponderate e mirate», dichiara Marta Gentili, Presidente dell’Associazione Vivere senza dolore. «Partendo da questa convinzione, unita alla consapevolezza di come, nella realtà, i cittadini siano poco informati su che cosa sia il dolore cronico, in quali Centri si possa curare e quali diritti garantisca loro la Legge 38, la nostra Associazione è da tempo in prima linea nel promuovere iniziative volte a sensibilizzare ed educare la popolazione. Il premio giornalistico "Vivere senza dolore" è nato con questo scopo. Siamo molto soddisfatti del riscontro avuto finora, in termini di numerosità e spessore degli elaborati pervenuti. Ci auguriamo che la continua crescita d’attenzione nei confronti di chi soffre di dolore cronico aiuti davvero a migliorare la qualità di vita dei pazienti».
Legge 38, molti medici non la conoscono
Per quanto concerne la Legge 38, solo il 57% degli oncologi e il 14% dei pazienti dichiarano di conoscerla bene: tra i principali vantaggi apportati dalla normativa, il 49% degli specialisti e il 35% degli assistiti indicano la maggiore facilità di prescrizione dei medicinali a base oppiacea. Secondo un'indagine dell'associazione dei pazienti Vivere senza dolore condotta su mille medici di 20 diverse discipline (dagli internisti agli ortopedici, dai geriatri ai reumatologi) in 15 ospedali sedi di ambulatori di terapia del dolore, i "punti oscuri" nella formazione dei dottori non sono pochi. Un medico su tre ad esempio non sa che non è più obbligatorio il ricettario speciale per prescrivere gli oppioidi, solo uno su cinque sa che questi farmaci si possono usare per il dolore severo non oncologico. La legge 38 ha posto le basi per una svolta nella valutazione e nel trattamento del dolore cronico, ora tutti gli operatori del settore devono però prodigarsi perché venga applicata, a cominciare dagli ospedali. Solo così garantiremo ai milioni di malati di dolore cronico una vita che valga la pena di essere vissuta.
Indirizzi utili
POLICLINICO SAN DONATO
Piazza E. Malan, 2 - 20097 San Donato Milanese Milano
Prenotazioni/informazioni: 02.52774377-601-2-3-629-691
Centralino: 02.527741
www.grupposandonato.it
Cure palliative e terapia del dolore
Dott. Paolo Grossi – Tel. 02.52774624
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