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Open Forum 2012: ridurre l'incidenza del cancro del 15% entro il 2020

Paola Sarno, N. 11 novembre 2012

Tutta l’Europa si è riunita a Roma per studiare nuove strategie contro i tumori. La manifestazione pubblica annuale della Joint Action del Programma Europeo Salute, la European Partnership Action Against Cancer (Epaac) si è snodata quest’anno in una due giorni nella Capitale, alla quale hanno partecipato i massimi esponenti delle istituzioni, dell’industria farmaceutica e delle associazioni volontariato come pure un rilevante numero di esperti, policy-makers, ricercatori e organizzazioni di tutti gli Stati membri. L'evento, organizzato congiuntamente da ministero della Salute, Istituto di salute pubblica della Slovenia (coordinatore Epaac), Association of European Cancer League (Ecl), Istituto Superiore di Sanità e Istituto Nazionale Tumori di Milano si è incentrato sui temi della prevenzione e dell'informazione sul cancro, malattia che oggi colpisce 3,2 milioni di europei ogni anno. La sessione inaugurale è stata aperta dal ministro della Salute, Renato Balduzzi. Presenti il commissario europeo alla Tutela della Salute, John Dalli, il presidente del Gruppo Parlamentari europei contro il cancro (Mep), Alojze Peterle, e rappresentanti dell’Oms ed altre istituzioni internazionali. Fra i quali, il ministro della Salute sloveno, Tomaz Gantar.

Balduzzi: "Creare un cordone sanitario europeo"
«L’Epaac, è un programma designato allo scopo di "creare un cordone sanitario europeo" », ha spiegato il ministro Balduzzi, chiarendo che «la salute è un bene di tutti e quindi, senza limitare la sovranità nazionale sugli specifici programmi di gestione della sanità, è necessario che almeno a livello europeo ci siano delle linee guida ben definite, anche per evitare che si generi un circolo vizioso povertà-problemi di salute». Ad essere colpiti devono essere gli sprechi, gli ha fatto eco John Dalli, riferendosi alla criticità del momento storico-economico in cui versa l’Occidente. «Gli interventi dei politici italiani e sloveni, volti a dimostrare l’impegno degli Stati da loro rappresentati nella lotta contro il cancro – ha aggiunto – hanno portato alla luce i successi e le opportunità di miglioramento in questa sfida, che si fa ora più ambiziosa ed intende ridurre l’incidenza delle patologie tumorali del 15% in Ue entro il 2020». Come? Oltre alle leggi contro il tabagismo già in vigore che vanno irrobustite, secondo Balduzzi, è necessario rafforzare le campagne di prevenzione e di screening per alcuni tipi di tumore, come seno, utero e prostata, alle quali si attribuisce un decremento dei decessi anche contro un aumento dei casi. Decisivo, poi, anche secondo la Commissione MEP "portare la voce dei pazienti", i quali, come ha confermato Kathy Redmond, edi
tore di Cancer World Magazine, molto spesso hanno un ruolo marginale in questa dialettica, nonostante siano loro a soffrire.

Il cancro in Italia: numeri in aumento ma anche tanti progressi
Il ministro Balduzzi ha poi elencato i motivi della partecipazione italiana al progetto: la priorità delle strategie sanitarie nazionali contro il cancro che costituisce tuttora un forte carico di malattia e per il nostro Paese. «Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 250.000 nuovi casi – ha ricordato – e questo numero è in costante incremento anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione». Infatti si è stimato che circa due milioni di italiani vivano con il cancro o abbiano avuto un’esperienza di malattia. Anche in questo caso, i numeri sono in progressivo aumento. Secondo le ultime cifre, poi, oltre 168mila italiani muoiono ogni anno a causa del cancro, che costituisce il 30% di tutti i decessi e la seconda causa di morte in Italia (la prima fra gli adulti e la seconda fra gli anziani). «A fronte di ciò – ha notato Balduzzi – sono però anche notizie positive: nell'ultimo decennio la mortalità per cancro è diminuita, una tendenza già presente nei primi anni settanta fra le fasce più giovani e che si è successivamente estesa agli adulti in tutto il territorio nazionale; dobbiamo questi successi ai grandi passi avanti fatti nel campo della ricerca, della prevenzione e della terapia, e anche a una più efficiente e mirata programmazione degli interventi e delle risorse, testimoniata – in particolare – dalla recente definizione di un nuovo Piano nazionale globale contro il cancro e dalla migliorata e costantemente cresciuta copertura dei programmi regionali di screening dei tumori della mammella, della cervice e del collo dell’utero». Tuttavia per il nostro ministro della Salute è necessario fare di più, in particolare per quanto riguarda il superamento delle disuguaglianze di accesso ai servizi. Perciò la collaborazione con i partner Ue può aiutare a condividere le esperienze di successo e a costruire risposte comuni alle sfide più complesse. «Un ulteriore motivo per cui abbiamo molto apprezzato il progetto – ha concluso Balduzzi – è che ben 7 aree di lavoro (informazione, prevenzione primaria e secondaria, cura, ricerca, comunicazione e pianificazione) siano affrontate dalla Joint Action, come questioni effettivamente ancora aperte».

A quando un registro europeo condiviso sul cancro?
Protagoniste della seconda giornata dell’Epaac sono state le aziende farmaceutiche, le associazioni dei pazienti e del volontariato. Anche in questo caso tutti d’accordo nel chiedere l’istituzione di un Registro Europeo sul Cancro che contribuisca a delineare politiche comuni a livello europeo. Necessario soprattutto un maggiore coordinamento nella rilevazione dei dati, come ha segnalato Milena Saint, responsabile della raccolta e dell’analisi dei dati disponibili sul cancro previste dal programma Epaac. Attualmente, infatti, in Europa non esiste un Registro unico e condiviso al quale sia possibile a tutti i Paesi accedere per avere informazioni online precise e aggiornate su incidenza, prevalenza, mortalità oltre a linee guida comuni per il trattamento delle diverse neoplasie permettendo anche la sostituzione di trial clinici tradizionali con studi di osservazione du dati di qualità certa assicurati dal registro. Un passo in avanti anche contro il tempo e la scarsità di risorse economiche. D’accordo sulla necessità di uniformare le informazioni a livello europeo anche le associazioni e le aziende del farmaco. Il tutto, ovviamente per i malati, come ha sottolineato Peterle, perché il Registro dà voce e ascolto ai pazienti, spesso isolati e non protagonisti della loro stessa battaglia.

Necessario investire di più sulla riabilitazione psicosociale
Anche perché, come ha concluso Francesco De Lorenzo, vicepresidente della European Cancer Patient Coalition (Ecpc) e presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo), il cancro è "una malattia cronica" e necessita di una particolare attenzione agli ammalati. Già nel 2006 un sondaggio del 2006 della stessa Favo su pazienti, ai quali era stato chiesto di rispondere sulle difficoltà lavorative incontrate a causa del tumore, aveva evidenziato come una notevole percentuale di loro lamentasse un abbassamento delle performance professionali, quando non addirittura la perdita del posto di lavoro. A fronte di ciò è quindi sempre più necessario investire sulla riabilitazione sociale dei pazienti, sia per ridurre l’impatto economico della loro progressiva inattività, ma anche e soprattutto perché il bisogno psicologico dei pazienti di rimanere attivi è un elemento cruciale sia per il miglioramento degli esiti delle cure sia della loro qualità di vita.

Colonscopia addio, ora la diagnosi per il tumore si fa con il dna
Ben presto la colonscopia potrebbe andare in pensione: la diagnosi del cancro al colon-retto, infatti, ora passa attraverso un test sul Dna, che oltre a essere meno invasivo è anche più veloce ed economico. Sono questi i risultati del "Fluorescence Long Dna" (Fl-Dna), il nuovo test, nato dalla collaborazione tra l'Irccs Irst-Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori di Meldola (Fo) e Diatech Pharmacogenetics, azienda italiana leader nel mercato della farmacogenetica, che si basa su una semplice analisi della qualità del Dna delle cellule di esfoliazione della mucosa del colon presenti nelle feci. Il test, messo a punto dallo staff di Daniele Calistri, responsabile della Diagnostica Molecolare del Laboratorio di Bioscienze Irccs Irst, è ormai pronto per essere testato in molti centri e laboratori italiani, dopo la sperimentazione effettuata a Meldola dal 2009 a oggi Tra i centri interessati a partecipare al percorso vi sono l'Irccs Istituto in Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia di Reggio Emilia, l'Ospedale Maggiore di Bologna, l'Irccs Ca' Granda Ospedale Policlinico di Milano, l'Ospedale Rinaldi di Pescina (AQ), l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa. Il gruppo multidisciplinare di altissime professionalità che si è formato sotto il coordinamento dell'Irst di Meldola diretto da Dino Amadori, affronterà lo studio anche delle cause di questo carcinoma e delle caratteristiche biologiche che ne condizionano lo sviluppo.

In Svezia gli screening mammografici non incidono sulla mortalità
Uno studio realizzato da ricercatori dell'Istituto Internazionale per la Prevenzione e la Ricerca francese e pubblicato sul Journal of The National Cancer Institute ha mostrato che lo screening mammografico in Svezia non ha avuto impatti sulla riduzione della mortalità per cancro al seno fra le donne fra 40 e 69 anni coinvolte nei programmi di screening. Dal 1974 in Svezia, infatti, le donne di quella fascia d'età sono state incluse in un progetto di prevenzione del cancro alla mammella molto esteso e basato essenzialmente sulla mammografia. Il picco di diffusione degli screening è avvenuto nel 1997. Gli studiosi francesi hanno cercato di capire in che modo questo sforzo si riflettesse sul tasso di mortalità per carcinoma della mammella, analizzando i dati provenienti dallo Swedish Board of Health and Welfare fra il 1960 e il 2009: i risultati hanno mostrato un declino delle morti per cancro al seno che è cominciato nel 1972 ed è continuato negli anni successivi con un tasso che è rimasto praticamente inalterato nonostante l’aumento della diffusione degli screening mammografici. Un paradosso, a detta di Philippe Autier, che ha guidato il gruppo di studio, «poiché il trend della mortalità ha continuato a essere in calo in modo simile al periodo prescreening: era come se quei controlli non fossero mai avvenuti. Le statistiche di mortalità svedesi, infatti, hanno mostrato che gli screening hanno avuto un impatto limitato, quando addirittura inesistente sul tasso di mortalità».

Il 51% dei pazienti ignari della possibilità di sviluppare metastasi
Il 51% degli italiani affetti da cancro al seno o alla prostata che sono stati colpiti da complicanze ossee non sapevano di poterne essere vittima. E il 69% non ha sentito parlare dai medici di eventi scheletrici secondari finché non ha dovuto affrontarli. A dirlo un’indagine europea condotta dalla Skeletal Care Academy, organismo indipendente internazionale che, attraverso campagne informative, si propone di migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici con metastasi ossee. Lo studio ha rilevato anche che il 69% degli ammalati ha cominciato a parlare con i medici di complicazioni scheletriche solo nel momento di iniziare lo specifico trattamento. Solo in Italia i pazienti intervistati sono stati 42, benché il campione totale comprendesse anche cittadini spagnoli, francesi, tedeschi e inglesi. La situazione italiana è comunque migliore di quella di altri Paesi europei: se solo il 55% dei medici italiani, infatti, comunica adeguatamente il rischio – metastasi ai propri pazienti, in Germania la percentuale è del 44%, in Francia del 41% e in Spagna e Gran Bretagna si ferma rispettivamente al 26% e al 21%. Infine, se il 73% dei pazienti ha dichiarato aver ricevuto una terapia specifica contro le metastasi ossee, solo il 39% parla con il proprio medico riguardo la gestione del dolore, che viene considerata, invece, dal 44% come indispensabile per un miglioramento reale della qualità di vita.

Indirizzi utili

ISTITUTO SCIENTIFICO ROMAGNOLO PER LO STUDIO E LA CURA DEI TUMORI
Via Piero Maroncelli, 40 47014 Meldola (FC)
info@irst.emr.it
Tel: 0543.739100

PRESIDIO OSPEDALIERO BELLARIA-MAGGIORE DI BOLOGNA
Largo Nigrisoli, 2 40133 Bologna
Dott.ssa Gianna Poppi
Prenotazioni/informazioni: 051.6478858
Centralino: 051.6478111 Fax: 051.6478727
www.ausl.bologna.it

In Sicilia arriva il "Laboratorio di Psiconcologia"
È stato presentato dall'assessorato regionale per la Salute della Sicilia il "Laboratorio Sperimentale di Psiconcologia" della Regione siciliana. Si tratta di un progetto pilota nato grazie alla convezione fra la Regione e la Fondazione Giuseppe Alazio, che permetterà di dotare i reparti di oncologia della Sicilia di esperti nel supporto psicologico rivolto sia ai pazienti sia ai loro familiari, oltreché al personale attivo in questo complesso e difficile contesto clinico. Il progetto pilota del "Laboratorio" ha già visto una fase sperimentale attuata in due centri, Palermo e a Catania, con risultati positivi testimoniati da tutta una serie di dati rilevati nei primissimi mesi di attività e divulgati nel corso della presentazione del progetto. Un momento importante che è stato anche occasione per illustrare il programma di ampliamento futuro che dovrebbe portare alla nascita della "Rete regionale di Psiconcologia". Si tratta di un decisivo passo in avanti nel processo di umanizzazione delle cure nel quale la Sicilia vuole essere all'avanguardia e che viene sviluppato con metodi rigorosamente basati sulle evidenze scientifiche. «Dopo 15 anni di attività dedicata alla ricerca mirata a sconfiggere i tumori – ha dichiarato il presidente della Fondazione Alazio, Carmine Capri – abbiamo fatto una precisa scelta di campo impegnandoci nell'assistenza psicologica a malati, familiari ed operatori, dopo aver constatato le carenze assistenziali in questo specifico settore».

Fumo: i traumi infantili inducono nelle donne il vizio in età adulta
Anche l’aver subito traumi durante l’infanzia può essere una delle cause del vizio del fumo in età adulta, in particolare fra le donne. A sostenerlo è una ricerca dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, che è stata recentemente pubblicata sulla rivista Substance Abuse Treatment, Prevention, and Policy. Nello studio, oltre il 60% degli adulti interpellati riportava una storia personale con almeno un evento traumatico infantile, che comprendeva una ampia gamma di avvenimenti, da stress emotivi e/o fisici, fino agli abusi sessuali. L'indagine, condotta fra circa 7.000 persone, la metà delle quali di sesso femminile, ha chiarito il nesso fra alcuni disordini psichiatrici insorti come conseguenza degli abusi subiti da bambini, come la depressione e l’ansia, e un netto aumento del rischio di cadere nel tabagismo in età adulta. In particolare, le donne che avevano vissuto eventi traumatici, fisici o emotivi, durante l'infanzia hanno mostrato una probabilità 1,4 volte maggiore di fumare. Se, inoltre, avevano avuto un genitore in prigione durante l'infanzia, questa probabilità raddoppiava. «Abbiamo, tuttavia, notato un aumento di rischio, legato a eventi traumatici infantili, solo fra le donne. Gli uomini, probabilmente, sviluppano altri meccanismi difensivi per affrontare questi eventi», ha spiegato Tara Strine, la ricercatrice statunitense che ha condotto lo studio.

Vaccino contro il fumo nel 2017?
Grazie a una ricerca condotta dal genetista Ronald Crystal e dall’équipe di scienziati del Weill Cornell Medical College di New York, smettere di fumare potrebbe non essere più un miraggio. Gli studiosi hanno infatti escogitato un vaccino anti-tabacco in via di sperimentazione che potrebbe essere messo in commercio nei prossimi anni, contribuendo ad abbassare le percentuali di quella che resta una delle dipendenze non solo più insidiose, ma anche molto dispendiose. Nonostante gli amanti delle "bionde" in Italia siano calati a una media di due persone ogni dieci, per chi fuma, smettere è difficilissimo, e circa il 70-80% di chi ci riesce riaccende una sigaretta dopo sei mesi. Oggi la buona notizia che arriva della Grande Mela è che il vaccino allo studio, stando ai primi risultati relativi ai test sui ratti, riesce a neutralizzare la nicotina prima che questa arrivi al cervello e ad eliminare così la dipendenza da fumo. Come? Grazie all’inserimento nelle cellule del fegato, tramite inoculazione di un virus innocuo, di una sequenza di geni programmata grazie alla quale avviene la "fabbricazione" dell’anticorpo denominato da Ronald Crystal "Pacman", in ricordo del celebre videogame con la sfera gialla che mangia tutti i puntini disseminati nel labirinto. In pratica, una proteina attaccandosi alle molecole di nicotina, riesce a renderle più "grandi" e quindi identificabili dai filtri del cervello che, date le sue dimensioni ridotte, generalmente non riesce a riconoscerle. Nei topolini che hanno ricevuto il vaccino, la riduzione di nicotina circolante nel sangue è stata dell’ 85% e senza che effetti collaterali come variazioni di pressione sanguigna o frequenza cardiaca siano stati registrate. Non solo. Il fatto che l’anticorpo sia prodotto direttamente e continuamente dal fegato sembrerebbe garantire un effetto duraturo nel tempo, facendo pensare che anche una sola iniezione potrebbe bastare per dire addio per sempre al vizio. Tutto ciò rappresenterebbe un enorme passo in avanti rispetto ai vaccini sperimentati finora che, oltre ad essersi dimostrati privi di una validità nel lungo periodo e di necessitare di numerose e costose sedute di somministrazione nonché di un incredibile sforzo di volontà da parte del paziente per smettere di fumare, spesso si sono rivelati non privi di complicanze. Stesso, inutile, risultato hanno dato generalmente tutti quei prodotti sostitutivi del tabacco (cerotti, spray, pasticche alla nicotina, oppure l’antidepressivo bupropione o la vareniclina) che possono solo alleviare i sintomi dell’astinenza e non sono di fatto terapeutici. Il nuovo vaccino, invece, se i promettenti risultati si rivelassero tali anche sull’organismo umano (i test inizieranno anche sull’uomo nei prossimi due anni) potrebbe venire commercializzato nel 2017. Prima, infatti, sarà necessario verificare la sua reale innocuità sull’uomo, fondamentale anche per comprendere meglio anche su quali tipologie di fumatori potrà essere impiegato, così da personalizzarlo e renderlo davvero efficace.

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