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Dall'Esmo 2012 un promettente farmaco antitumorale
Minnie Luongo, N. 12 dicembre 2012
Non una semplice e pretestuosa rassegna di medici e aziende farmaceutiche, ma un Convegno ricco di novità e studi che fanno ben sperare per il futuro. Questa la più importante certezza evidenziata al termine dell’ultimo Congresso annuale ESMO (European Society of Medical Oncology), tenutosi a Vienna. Per Prevenzione Tumori abbiamo cercato di riassumere quelle che, a nostro parere – tra le tante – sono le promesse più concrete in ambito oncologico. Soprattutto tra i "big killer" tumorali.
A proposito di carcinomi polmonari
Purtroppo, in questo campo i pazienti spesso arrivano alla diagnosi solo a stadio molto avanzato, quando il tumore ha già creato metastasi e non è più operabile. Un medico che si trova davanti un paziente di questo tipo sa che la probabilità di vederlo sopravvivere per cinque anni è dell' 12%. «E spesso sappiamo che almeno l' 80% dei pazienti non supererà l'anno, vista la sopravvivenza media di un paziente con cancro al polmone di stadio 4 (il peggiore, quello in cui il tumore ha già dato metastasi) – dice il professor Giorgio Scagliotti, direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino -. Parliamo di uno dei big killer oncologici che, anche nell’ultimo anno, in Italia si riconferma al primo posto per la mortalità. Un tumore che colpisce per la maggioranza la popolazione maschile ( 27% di decessi). Per questo tipo di patologia, pertanto, assieme alla sopravvivenza globale, puntiamo alla "modalità", tale da non compromettere (o compromettere nel minor modo possibile) la qualità della vita del malato. Non a caso, le terapie oncologiche più aggressive (che sono, in genere, quelle utilizzate per il trattamento dei tumori negli stadi avanzati) sovente hanno effetti collaterali molto forti, che si ripercuotono negativamente sulla qualità della vita. Ecco perché è nostro dovere aumentare le speranze di sopravvivenza, ma senza che ciò comprometta la loro esistenza durante i mesi di vita "guadagnati" ». Si calcola che, ogni anno, per questo tumore si verifichino ben 1, 3 milioni di morti. E, fra tutti i tipi di tumori maligni del polmone, il carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso è forse il più comune. Più che mai necessari, quindi, farmaci che siano sicuri, tollerabili e convenienti.
Tivantinib nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso
A questo punto, come riferito all’ultimo ESMO, entra in scena Tivantinib, che possiede anche le caratteristiche potenziali per diventare il capostipite degli inibitori orali selettivi del recettore MET, nel trattamento dell’NSCLC (carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso), a prescindere dallo stato del recettore MET. Illustra il professor Scagliotti: «I risultati dei trial di fase 2 hanno dimostrato che il trattamento con tivantinib, in associazione con erlotinib, migliora significativamente la sopravvivenza complessiva mediana (OS) e la sopravvivenza libera da progressione rispetto al trattamento con il solo erlotinib in pazienti con NSCLC non squamoso. Lo studio di fase 3 MARQUEE sta attualmente valutando tivantinib in combinazione con erlotinib, in pazienti che hanno già ricevuto un trattamento per NSCLC a cellule non squamose».
…E a proposito di carcinomi epatocellulari
Il tumore del fegato è la sesta forma più comune di tumore al mondo, nonché la terza causa di morte correlata a tumore. E l’HCC (acronimo che sta per "carcinoma epatocellulare" ) rappresenta oltre il 90% dei tumori primitivi del fegato. Fatte queste premesse, è evidente il grande interesse che ha suscitato il resoconto degli studi preclinici condotti con tivantinib. A Vienna ha illustrato il dottor Bruno Daniele, direttore del Dipartimento di Oncologia e dell’Unità Medica Oncologica dell’ospedale G. Rummo di Benevento: «Spesso asintomatico fino allo stadio avanzato della malattia, il carcinoma epatocellulare è frequentemente diagnosticato tardi, con prognosi sfavorevole e, almeno ad oggi, non esistono opzioni approvate di trattamento standard di seconda linea. Studi preclinici effettuati con tivantinib, compresi quelli su linee cellulari di HCC con recettore MET iperespresso, hanno evidenziato l’ampio spettro di attività antitumorale del farmaco, sia come agente singolo, sia in combinazione con altri farmaci. Lo studio clinico di fase 2, condotto con tivantinib vs placebo nel trattamento di seconda linea dell’HCC, ha registrato un miglioramento statisticamente significativo nell’endpoint primario, tempo di progressione di malattia (TTP), nel braccio con il farmaco attivo, rispetto a quello di controllo nella popolazione ITT ( "Intent To Treat" )». Ancora: tivantinib ha migliorato, anche, la sopravvivenza globale mediana (OS) della popolazione ITT. Sia la TTP che l’OS sono migliorati nei pazienti; inoltre, i risultati dei primi studi randomizzati porti avanti con un inibitore MET hanno dimostrato i vantaggi sulla OS, identificando un sottogruppo biologico che risponde alla terapia mirata. «Al di là delle sigle più o meno oscure per i non addetti ai lavori e dei numeri, peraltro importanti – tiene a sottolineare il dottor Daniele – la buona notizia è che, dopo decenni in cui il tumore del fegato, in pratica, non aveva a disposizione dei farmaci, la situazione sta velocemente evolvendo in meglio. Un esempio per tutti: anche il paziente con cirrosi epatica, a determinate condizioni, può ricorrere a trattamenti tumorali».
Gli "unmet needs" del carcinoma epatocellulare
Quanto alle necessità non soddisfatte dei malati, bisogna premettere che L’HCC è una patologia difficilmente trattabile, poiché di solito si sviluppa in un contesto di epatopatia. Il trattamento e la prognosi dipendono da diversi fattori, inclusi la dimensione, la localizzazione ed il numero dei tumori, lo stato delle metastasi, il livello di funzionalità del fegato e lo stato di salute complessivo del paziente.
I trattamenti attualmente disponibili includono:
- Intervento chirurgico (resezione chirurgica e trapianto del fegato): la prima opzione di trattamento nei primi stadi di malattia, può avere come risultato il 50 per cento di sopravvivenza a cinque anni. Tuttavia, solo il 10 per cento di pazienti affetti da HCC risulta eleggibile all’intervento.
- Ablazione percutanea: raccomandata in pazienti ai primi stadi di HCC non eleggibili all’intervento, che prevede la somministrazione di sostanze quali l’etanolo, direttamente nel tumore. L’efficacia di questa terapia diminuisce all’aumentare delle dimensioni del tumore. > Chemioembolizzazione transarteriosa (TACE) o radioembolizzazione: comunemente usata negli stadi più avanzati dell’HCC, prevede la somministrazione di agenti chemioterapici o di radioterapia ad alte dosi, direttamente nel tumore e/o blocca l’arteria epatica, impedendo l’apporto ematico al tumore. Mentre nel 50 per cento dei pazienti si osserva una significativa necrosi del tumore; meno del 2 per cento risponde completamente al trattamento.
- Sorafenib, inibitore multichinasico orale: rappresenta l’unica terapia sistemica approvata per l’HCC, ed è lo standard di trattamento di prima linea per pazienti con HCC avanzato. Tuttavia, il suo impiego in alcuni pazienti è talvolta interrotto per intollerabilità.
- Attualmente: non esiste un trattamento standard approvato per la seconda linea dell’HCC. Sia i medici che i pazienti richiedono lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per il trattamento dell’HCC, evidenziando l’importanza degli studi clinici come opzione terapeutica e la necessità di sviluppare la ricerca nel trattamento della malattia in fase avanzata e nelle terapie di seconda linea. In sintesi: c’è un urgente bisogno di opzioni terapeutiche per il carcinoma epatocellulare che ritardino la comparsa dei sintomi, aumentino la sopravvivenza complessiva e siano sicure, tollerabili
e convenienti.
"Pathway" promettenti
La maggior parte dei pathway molecolari legati al processo carcinogenico è coinvolto nell’HCC. I più importanti progressi nella comprensione dei processi biologici che determinano la crescita e la diffusione tumorale, hanno individuato nuovi orizzonti per nuovi approcci terapeutici che promettono di apportare benefici significativi ai pazienti. Risultati promettenti sono stati evidenziati in alcuni studi clinici in corso, ottenuti utilizzando terapie target su "pathway" molecolari, fra i quali il recettore MET. Per supportare la funzione cellulare, il recettore MET è presente a concentrazioni più basse nei tessuti normali, ad eccezione del midollo osseo e delle cellule epiteliali, ove è espresso a concentrazioni maggiori per intervenire nei processi di riparazione tissutale e delle ferite. Nelle cellule tumorali, il recettore MET viene attivato continuamente e in modo inappropriato. Il processo di trasmissione del segnale del recettore MET svolge un ruolo significativo nella crescita, e diffusione tumorale, nella migrazione e nella proliferazione delle cellule tumorali, nell’alterazione dell’apoptosi (morte cellulare programmata), nell’angiogenesi (capacità del tumore di sviluppare nuovi vasi sanguigni) e nelle metastasi (la diffusione a distanza del tumore). L’amplificazione di questo pathway molecolare è associata ad una prognosi sfavorevole in molti tumori, incluso il carcinoma epatocellulare (HCC), il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) e altri. Sono in corso studi per identificare le terapie che abbiano come target il recettore MET, con l’intento di normalizzare questo importante meccanismo e rallentare così la crescita tumorale.
Indirizzi utili
OSPEDALE GAETANO RUMMO
Via dell'Angelo, 1 82100 Benevento
Dipartimento di Oncologia e dell’Unità Medica Oncologica – Dottor Bruno Daniele
Segreteria: 0824.57724
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche – Professor Giorgio Scagliotti
Segreteria: 011.9026877 – 011.9026878 Fax 011.6705413
ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA
Via Ripamonti, 435 20141 Milano
Unità Ricerca Traslazionale sul Melanoma Dottor Pier Francesco Ferrucci
www.ieo.it
Allo IEO un trattamento per i tumori epatici in metasatasi
All’ultimo Convegno ESMO di Vienna è si è parlato anche di una procedura, in atto dal gennaio 2012 presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), per trattare l’intero organo del fegato, e utile nella gestione di pazienti affetti da tumori epatici potenzialmente letali. Si tratta di una procedura che consente la somministrazione di chemioterapia ad alto dosaggio direttamente nel fegato, così da contribuire al controllo di questo tipo di cancro, garantendo potenzialmente il tempo necessario per il trattamento della patologia non immediatamente letale all’esterno del fegato. Illustra il dottor Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità Ricerca Traslazionale sul Melanoma presso lo IEO: «Noi dell’Istituto Europeo di Oncologia – per ora sul territorio italiano l’unica struttura a saper usare il "Delcath Systems (www.delcath.com)", e i primi in Europa – dall’inizio dell’anno abbiamo trattato cinque pazienti (3 donne e due uomini), ottenendo almeno quattro evidenti vantaggi:
- possibilità di trattare tutto il fegato, incluse, quindi, anche le metastasi cosiddette invisibili (ovvero non visibili con la TAC);
- procedura ripetibile in cicli, ogni due mesi;
- nessuna tossicità sistemica (pertanto, nessun effetto tossico in altri organi);
- efficacia riscontrata del 60-70% di "controllo alla malattia". Ossia: stabilizzazione e "buona qualità di vita", libera (o stabile) dalla malattia.
Ancora costosa e non passata dal Servizio sanitario nazionale, la chemiosaturazione brevettata dalla Delcath Systems è un’opzione terapeutica non necessariamente alternativa, che però può integrare il percorso – sottolinea Ferrucci – che permette di aprire nuove interessanti prospettive. Per fare questo dobbiamo lavorare con uno scambio continuo di vedute fra noi specialisti oncologi, radiologi e chirurghi».
Conosciamo il fegato?
- Il fegato è il secondo organo più esteso del corpo, dopo la pelle
- Espleta circa 500 funzioni, comprese la digestione, l’escrezione e la lotta alle infezioni
- Gli epatociti costituiscono il 60% del fegato e sono il punto di origine del carcinoma epatocellulare (HCC).
- Il tumore del fegato è la sesta forma più comune di neoplasia al mondo, doppiamente diffusa negli uomini.
- Questo cancro è la terza causa di morte correlata a tumore.
- Dal 1996 al 2008 il numero dei decessi per cancro al fegato è raddoppiato.
- L’HCC rappresenta più del 90% dei tumori primitivi del fegato > Spesso asintomatico fino allo stadio avanzato, l’HCC è di solito diagnosticato tardi, purtroppo con prognosi infausta.
- Il tasso di sopravvivenza di 5 anni è circa del 5%, con un paziente su cinque che sopravvive almeno un anno dal momento della diagnosi.
- La forma più comune di tumore primitivo del fegato è il carcinoma epatocellulare (HCC).
Il tumore primitivo del fegato è generato da una crescita cellulare anomala e incontrollata al suo interno, che altera la normale funzionalità dell’organo. Il principale fattore di rischio per l’HCC è la cirrosi epatica (il 60-80% dei casi insorgono in pazienti con cirrosi preesistente). Nel mondo l’epatite B, l’epatite C e l’abuso di alcol rappresentano le principali cause delle cirrosi HCC correlate. Gli altri fattori di rischio: l’aflatossina (una tossina carcinogenica presente nella muffa di alcuni tipi di cibo), l’emocromatosi, l’epatopatia steatosica non alcolica, l’obesità e il diabete.
Il tumore polmonare
- Il tumore polmonare è uno dei tumori più frequentemente diagnosticati a livello mondiale, causando circa due decessi al minuto;
- NSCLC (carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso): costituisce circa l’ 85-90% di tutti i tumori polmonari.
Come agisce Tivantinib
- Attualmente Daiichi Sankyo è impegnata nello sviluppo di tivantinib, farmaco in sperimentazione, potenziale capostipite degli inibitori orali del recettore MET, indicato per il trattamento di diverse forme tumorali: oltre che per il carcinoma epatocellulare (HCC), anche per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio avanzato, e quello del colon retto. Daiichi Sankyo dispone di una vasta pipeline di farmaci oncologici, mirati a target biologici selezionati, potenzialmente first-inclass, per prolungare la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore e preservare la loro qualità di vita.
- Tivantinib, in fase di sperimentazione sia come agente singolo che in combinazione con altre terapie, agisce legandosi selettivamente al recettore intracellulare MET interrompendone la via di trasmissione del segnale, con conseguente inibizione della proliferazione delle cellule tumorali che la metastatizzazione (diffusione delle cellule tumorali ad altre parti dell’organismo).
I risultati degli studi clinici di fase 2 condotti in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso evidenziano come tivantinib in associazione a erlotinib migliori del 46% la sopravvivenza complessiva mediana (OS) rispetto a erlotinib, utilizzato come agente singolo (10.1 mesi vs. 6.9 mesi). Inoltre, si è avuto un incremento del 91% nella sopravvivenza mediana libera da progressione (PFS) (4.4 mesi vs. 2.3 mesi). Finora tivantinib è stato ben tollerato dai pazienti, con un incremento minimo degli effetti collaterali (come per i trattamenti con erlotinib, gli effetti collaterali di più frequente riscontro sono stati rash e diarrea di grado lieve, così come stanchezza, anoressia, nausea, vomito e dispnea).
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