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Tumore al colon-retto e trattamento in laparoscopia
Cristina Mazzantini, N. 12 dicembre 2012
A Roma di recente, durante il Primo Congresso Nazionale della Chirurgia Italiana, un gruppo di validi esponenti del mondo scientifico ha dato vita alla Tavola Rotonda "Chirurgia laparoscopica del tumore al colon-retto: un contributo multidisciplinare di costo efficacia". Si è trattato di un incontro tra i principali esperti italiani nella prevenzione e nella cura del tumore al colon-retto. In tale occasione è stato visto come l’approccio chirurgico in laparoscopia, quando appropriatamente selezionato, sia in grado di garantire un miglioramento della qualità di vita del paziente e un risparmio in termini di costi sanitari. Una dimostrazione? Le esperienze di Udine e Modena. Gli esperti presenti nella Capitale hanno ricordato che ogni anno in Italia 38.000 persone si ammalano di tumore al colon-retto, patologia che rappresenta la seconda neoplasia più diffusa nella popolazione femminile dopo il carcinoma della mammella con 17.000 le nuove pazienti ogni anno e la terza per gli uomini dopo i tumori della prostata e del polmone, con 21.000 nuovi casi ogni dodici mesi. Un fenomeno ancora più allarmante se analizzato alla luce del tasso di mortalità: ogni anno nel nostro Paese sono circa 20.000 i pazienti che perdono la vita a causa del tumore al colon-retto e, tra questi, 10.500 risultano di sesso maschile e 9.500 di sesso femminile. Ad aggravare ulteriormente questo preoccupante scenario sono le previsioni emerse da alcuni recenti studi, secondo cui nei prossimi anni si riscontrerà in Italia un netto aumento del numero di persone che contrarranno la patologia: già a partire dal 2020, infatti, coloro che verranno colpiti dal tumore al colon-retto saranno più di 45.000 ogni anno, un significativo incremento dovuto principalmente all’aumento di alcuni fattori di rischio quali l’invecchiamento della popolazione, le cattive abitudini alimentari e l’eccessivo consumo di alcool e tabacco. «Le statistiche dimostrano come l’età media della popolazione colpita in Italia sia in costante aumento», ha spiegato il professor Massimo Federico, direttore della Cattedra di Oncologia Medica II presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. «Ad esempio, in provincia di Modena, l’incidenza sulla popolazione di persone con oltre 65 anni era del 17% nel 1988, del 2% nel 2006 e si stima che abbia raggiunto il 22% nel 2011». I dati emersi nel nostro Paese sono in linea con l’elevata diffusione che si registra a livello globale: ogni anno 1.200.000 persone nel mondo vengono colpite da questa neoplasia mentre, in termini di decessi, il tumore al colonretto è responsabile di circa l’ 8% della mortalità oncologica nel mondo, con oltre 600.000 pazienti che perdono la vita ogni anno. Secondo quanto emerso nel corso dell’incontro romano tutti d’accordo nel sostenere che l’approccio laparoscopico, metodica mini invasiva, rappresenta una valida alternativa rispetto alle altre terapie chirurgiche previste per l’asportazione di tumori localizzati in determinate zone del colon. Rispetto a un intervento tradizionale, infatti, questa tecnica consente una riabilitazione in tempi brevi, con meno complicanze post-operatorie. Nello specifico, il paziente sottoposto a un’operazione di chirurgia laparoscopica può beneficiare di un significativo miglioramento della qualità della vita grazie a una serie di caratteristiche tipiche di quest’approccio, tra le quali: una ferita meno estesa e una conseguente diminuzione del dolore postoperatorio, una riduzione dei traumi della zona intestinale e un miglior risultato estetico dovuto all’assenza di grandi cicatrici. L’insieme di queste peculiarità, oltre a garantire una veloce degenza e un rapido recupero da parte del paziente, permette un significativo risparmio in termini economici a vantaggio delle strutture ospedaliere. Il rapido decorso post-operatorio, oltre al minor rischio di infezioni, riduce i tempi di ospedalizzazione, consentendo tra l’altro un migliore utilizzo delle risorse ospedaliere di cui dispone il Sistema Sanitario Nazionale. «Tra le varie tecniche di cura previste per il trattamento del tumore al colon-retto, l’intervento chirurgico costituisce il primo, fondamentale, passo terapeutico», ha precisato il dottor Gianluigi Melotti, presidente della Società Italiana di Chirurgia. «L’obiettivo dell’incontro romano è stato quello di analizzare l’aspetto dell’attuale utilizzazione e diffusione della chirurgia laparoscopica del colon-retto in Italia, in modo da valutare le modalità più appropriate per garantire la promozione di tale approccio nella più ampia forma possibile, estendendolo a tutti i pazienti che potranno così giovarsi dei suoi molteplici vantaggi». Uno studio condotto di recente presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia di Udine ha dimostrato come, negli ultimi anni, il trattamento laparoscopico sia utilizzato con più frequenza rispetto al passato. La valorizzazione di tale approccio terapeutico, oltre a offrire dei benefici in termini di qualità della vita, ha contribuito a favorire il miglioramento e l’acquisizione di nuove competenze tecniche da parte dei chirurghi. «I risultati emersi dalla ricerca condotta presso la struttura friuliana dimostrano quanto la chirurgia laparoscopica stia diventando un importante strumento, per il chirurgo, nella gestione del paziente affetto da tumore al colonretto», ha chiarito il dottor Carlo Favaretti, Presidente della SIHTA (Società Italiana di Health Technology Assessment) e direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria "Santa Maria della Misericordia" di Udine. «Dal 2000 al 2008, infatti, l’utilizzo della tecnica mini invasiva è passata da circa il 40% a ben il 72% del totale degli interventi, contribuendo in maniera determinante anche alla formazione del personale chirurgico. Basti pensare che nel 2004 il tempo medio di esecuzione delle operazioni in laparoscopia era di 182 minuti, contro i soli 102 registrati nel 2011». Il documento presentato a Roma dal gruppo multidisciplinare di esperti, dal titolo "Il trattamento chirurgico mini invasivo del tumore al colon-retto: stato dell’arte e interventi necessari per la promozione e la diffusione di percorsi diagnostico terapeutici di gestione globale e integrata del paziente", rappresenta una tappa importante per approfondire i benefici clinici ed economici derivanti dall’adozione della tecnica chirurgica mini invasiva. In tale documento sono riportate interessanti case histories, tra cui quella realizzata in Italia nel 2011 presso l’Azienda Ospedaliera di Modena su un campione di pazienti trattati per resezione colo-rettale. L’indagine ha messo in evidenza, ancora una volta, le differenze dei costi tra l’intervento tradizionale e quello laparoscopico a favore di quest’ultimo, suggerendo ulteriori approfondimenti in tal senso. «I dati emersi dal progetto pilota promosso dalla struttura modenese», ha concluso il dottor Melotti, «hanno permesso di confermare che le spese associate ai due diversi approcci chirurgici sono sensibilmente diverse. Il costo medio di produzione del trattamento laparoscopico è risultato, infatti, nettamente inferiore rispetto al classico approccio chirurgico. Ecco, in sintesi, i primi dati emersi dal progetto pilota di Modena: il costo medio di produzione del trattamento laparoscopico è risultato pari a 8.675 euro per il colon e 9.091 euro per il retto; per la tecnica laparotomica, invece, il costo medio rilevato è stato pari a 9.815 e 14.987 euro, rispettivamente per il colon e il retto».
Superspaghetti contro il colon retto
Chi pensa che mangiare spaghetti per contrastare l’insorgere di malattie cardiovascolari e di tumore al colon sia un sogno è smentito da uno studio realizzato dai ricercatori dell’ARC (Centre of Excellence in Plant Cell Walls) di Adelaide, in Australia, con l’Università di Bari e del Molise. Si tratta di diversi progetti per creare dei superspaghetti. Per farlo, il primo passo è stato quello di studiare e sfruttare a fondo le proprietà nutritive delle cellule di biomassa contenute nella pianta del grano duro. «In collaborazione con l’Università di Bari si sta analizzando la funzione dell’arabinoxilano e dei beta-glucani, principali componenti delle fibre alimentari, che hanno un ruolo fondamentale nel determinare la qualità sia della pasta che del pane di grano duro», ha spiegato il professore austrialiano Rachel Burton, a capo dei progetti che ha puntualizzato: «In collaborazione con l’Università del Molise, si sta studiando la crescita del grano duro, per capire come questa influenza la concentrazione finale di fibre ed amido contenuti nella pianta. Il fine ultimo è quello di aumentare la presenza di sostanze bioattive nel grano. Così, i superspaghetti, dovrebbero avere un più controllato livello di fibre e un minor indice glicemico. Il tutto, per avere un tipo di pasta con delle proprietà nutritive particolari, che vanno dalla riduzione dei rischi di problemi al cuore a contrasto del cancro al colon».
Prevenire il cancro: ad ognuno la sua dieta
L'American Cancer Society ha recentemente pubblicato sulla rivista Cancer Journal for Clinicians le nuove linee guida in materia di alimentazione per prevenire il cancro.
Certo sappiamo da sempre che attività fisica e alimentazione sana aiutano a proteggerci dal tumore, ma cosa davvero si intende per vita e alimentazione sana? Innanzitutto gli esperti consigliano di mantenere il proprio peso forma, che rappresenta il primo modo per ridurre il rischio di neoplasie, e praticare in media 150 minuti d’attività fisica moderata alla settimana, oppure 75 minuti se l’attività è vigorosa. Per quel che riguarda l’alimentazione, sappiamo già che le ben note 5 porzioni di frutta e verdura al giorno aiutano a mantenere un buono stato di salute e che l’alcol è sempre sconsigliato anche se la ricerca evidenzia che modesti quantitativi di alcol, circa un bicchiere al giorno, possono avere dei benefici a livello cardiovascolare. E ancora è bene preferire i cereali integrali a quelli raffinati e soprattutto la carne bianca a quella rossa. Le linee guida definiscono inoltre la stretta relazione tra cibi specifici e singoli tumori. Per esempio, per prevenire il cancro al seno le donne dovrebbero evitare il consumo di alcol; gli uomini dovrebbero ridurre il consumo di calcio per prevenire il tumore alla prostata; per il cancro al colon-retto e allo stomaco bisogna limitare il consumo di carni rosse e lavorate e di sale; per ridurre le probabilità di ammalarsi di cancro del cavo orale ed esofago, è utile limitare gli alcolici e il fumo e non assumere cibi bollenti. Queste linee guida sono in realtà utili non solo per la prevenzione del cancro, ma anche per le malattie cardiovascolari e il diabete. In generale, infatti, curare maggiormente la propria alimentazione e svolgere abitualmente attività fisica aiuta il fisico a tenersi in forma e in salute.
Tumori tra i militari una nuova pista: le vaccinazioni
La commissione parlamentare d'inchiesta per l'uranio impoverito sembra aver trovato una nuova causa all’eccessivo numero di neoplasie riscontrate tra i militari italiani. Gli studi evidenziano la responsabilità delle numerose e ripetute vaccinazioni eseguite senza uno stretto rispetto dei protocolli nell’indebolire il fisico fino ad essere aggredito da gravi forme di malattia, e questo soprattutto se esposto a sostanze tossiche o inquinanti (dall’uranio impoverito, alla diossina, agli agenti chimici provenienti da discariche o industrie). Il dubbio che l’uranio impoverito non sia la causa principale dei tumori dei militari italiani è confermato dal fatto che l’ 85% di questi non è mai partito in missioni all'estero. Infatti per trovare un ambiente inquinato basta rimanere in Italia e si il rischio di morire aumenta notevolmente se il proprio fisico ha subito un attacco al sistema immunitario come accade se si è sottoposti a vaccinazioni inoculati in un breve lasso di tempo. Già nel 2007, Arturo Parisi allora Ministro della Difesa, riportò alla commissione: «I militari che hanno contratto malattie tumorali, che risultano essere stati impiegati all'estero nel periodo 1996-2006 sono 255. Quelli che si sono ammalati pur non avendo partecipato a missioni internazionali sono 142». Queste cifre sono raddoppiate nel 2012: 698 malati tra coloro che erano stati in missioni all'estero e ben 3063 che erano rimasti in Italia; in totale 479 decessi (dati dell'Osservatorio epidemiologico della difesa).
Aspirina e cancro del colon-retto
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Lancet da Peter Rothwell del John Radcliffe Hospital dell’ Università di Oxford, sembra che l’assunzione di aspirina possa avere dei benefici sulla prevenzione di alcuni tumori. Dall’indagine inglese, che ha studiato per 20 anni 14mila persone divise in due gruppi, uno di controllo e l’altro che ha preso il farmaco, si evince che l’acido acetilsalicilico, principio attivo dell’aspirina, potrebbe essere utile nella prevenzione di alcuni tumori. Monitorando per 20 anni 14mila persone divise in due gruppi, assuntori e non del farmaco, coloro che hanno assunto l’acido acetilsalicilico hanno osservato una riduzione del 24% del rischio di ammalarsi di cancro al colon. Il farmaco potrebbe inibire un enzima chiamato COX-2 che proteggerebbe il colon dal rischio di sviluppare alcune lesioni tumorali.
Troppi fumatori non smettono di fumare dopo la diagnosi di cancro
Un elevato numero di pazienti fumatori continua a fumare anche dopo la diagnosi di tumore. È quanto rivela uno studio americano condotto dall’Harvard medical school e pubblicato on line dalla rivista Cancer. In particolare, la ricerca è stata condotta su pazienti colpiti da tumore a polmone e colon-retto. In tutto, 5.338 persone, valutate nelle loro abitudini al fumo al momento della diagnosi e a distanza di 5 mesi. Alla diagnosi, il 39% dei casi di tumore al polmone e il 14% di quelli del colon-retto risultavano fumatori, percentuali passate, dopo 5 mesi, al 14 e al 9 rispettivamente. Smettere di fumare è risultato più difficile per le persone con più bassi livelli di istruzione e minore supporto emotivo da parte della famiglia. «Quando un paziente riceve una diagnosi di cancro, il primo pensiero è rivolto alla cura della malattia» sottolinea la dottoressa Elyse Park, del Massachusetts general hospital and Harvard medical school di Boston. «Smettere di fumare, però, è altrettanto importante in quanto il fumo incide sulla risposta ai trattamenti e, quindi, potenzialmente, sulla sopravvivenza. Molti medici sanno quali sono i benefici dello smettere di fumare per i pazienti oncologici, ma pochi agiscono attivamente in questo senso. Con le nostre osservazioni speriamo di aver fornito un'idea di quali siano i pazienti che necessitano di maggiore supporto».
Mangiare meno carne rossa previene il cancro al colon-retto
Quella che prima era solo una supposizione, adesso trova una conferma: limitare il consumo di carne rossa può aiutare a prevenire un eventuale tumore al colon, ma anche le altre forme di cancro che colpiscono stomaco e intestino. A dimostrarlo è stato uno studio condotto dal gruppo Continuous Update Project (CUP), dell’Università di Southampton, nel Regno Unito. Lo studio ha preso in esame ben 24 tipi di ricerche fatte in passato sui tumori al colon e all’intestino, evidenziando come il 43% di questi tumori sono dovuti ad un’alimentazione scorretta. In particolar modo, lo studio ha constatato come l’eccessivo consumo di carni rosse possa causare seri problemi di salute al cuore, per via dell’eccessivo livello di colesterolo, ma anche allo stomaco e all’intestino, aumentando le probabilità di cancro al colon. Insieme alle carni rosse, però, ci sono anche tutte le carni lavorate, che vengono sottoposte ad un processo di affumicatura, di salatura e che per mantenersi più a lungo sono ricche di conservanti. In questa categoria rientrano per esempio i wurstel, le salsicce, i salumi e tutti gli insaccati. Basti solo pensare, infatti, che per ogni 100 grammi di carne rossa il rischio di incorrere a patologie di questo tipo può salire del 17%, mentre per ogni 100 grammi di carni lavorate può addirittura salire del 36%. Per tal ragione è bene limitare il consumo di carni rosse, privilegiando quelle bianche ed equilibrando la dieta con il consumo di pesce e verdure, che aiutano a prevenire l’insorgere di queste malattie.
Più cereali integrali meno elevato è il rischio di cancro al colon-retto
In base a una revisione sistematica e successiva meta-analisi degli studi osservazionali prospettici comparsi in letteratura, una dieta ricca in fibre, in particolare quelle dei cereali integrali, si associa a una riduzione del rischio del tumore al colonretto. Un team di ricerca, coordinato da Teresa Norat e composto da ricercatori dell’Imperial college di Londra, dell’università di Leeds e dell’università olandese di Wageningen, ha incrociato i dati di 25 studi riferiti a un campione complessivo di quasi due milioni di persone. Ne è emerso che modeste quantità di cereali integrali sono sufficienti per ottenere effetti benefici, ma che la riduzione del rischio è proporzionale all’entità della fibra assunta. L’aggiunta di 10 grammi di fibre al giorno a una dieta povera di queste sostanze comporta una diminuzione della probabilità di sviluppare un cancro colon-rettale del 10%, mentre tre porzioni giornaliere di cereali integrali, corrispondenti a 90 grammi, si associano a un calo del 20%. La meta-analisi ha rilevato l’associazione inversa con il tumore al colon-retto delle fibre contenute nei cereali, ma non ha individuato evidenze significative legate all’assunzione delle fibre provenienti da frutta, verdura o legumi. Sulla scorta di alcuni degli studi esaminati, gli autori ricordano inoltre che «l’assunzione di fibre alimentari e di cereali integrali è probabilmente in grado di ridurre anche il rischio di patologie cardiovascolari, di diabete di tipo 2, di sovrappeso e obesità e di influire sulla mortalità complessiva».
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