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I “Survivors” chiedono un rimodellamento dell’assistenza sociosanitaria

Paola Sarno, N. 6/7 giugno/luglio 2013

Grazie al progresso scientifico negli ultimi anni sono stati raggiunti successi considerevoli in termini di sopravvivenza e cronicizzazione delle malattie neoplastiche. Tuttavia, a tale miglioramento si accompagna una crescente necessità di prendersi carico dei bisogni, non esclusivamente sanitari, delle persone “lungosopravviventi”, la numerosità delle quali (oltre il 30% delle invalidità sono determinate da malattie oncologiche) impone un adeguamento dei sistemi sociosanitari, in modo che questa positiva evoluzione divenga una risorsa e non un peso per la società intera. Se ne è parlato a Bolzano, in occasione della XVII Riunione Scientifica Nazionale della Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), nel corso della quale è stato presentato per la prima volta un nuovo studio sui pazienti guariti da tumore in Italia, realizzato con il supporto del Ministero della Salute e dalla Federazione Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO).

Quella “booming population” di oltre 2.220.000 italiani
Ad aprire i lavori è stata Roberta De Angelis, epidemiologa dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). «Fino a 5/10 anni fa la prevalenza, quella variabile determinata da incidenza, sopravvivenza e analisi demografica, era “durata limitata” », ha detto la studiosa. «Oggi invece i “lungo sopravviventi”, le persone cioè che hanno superato un tumore e che hanno le stesse probabilità di morire di quel tumore di una persona “sana”, rappresentano una “booming population” ». Ben 2.224.000 individui, infatti, pari al 4,2% della popolazione del nostro Paese, il 56% (1.290.000) delle quali sono donne, vivono in Italia con una pregressa diagnosi di tumore. Il 73%, cioè il tre quarti di loro, ha più di 60 anni e risiede prevalentemente al Centro-Nord del Paese. Secondo le stime Globocan 2008, poi, l’Italia si colloca al pari degli altri Stati europei ad alta prevalenza, come la Francia, la Germania e la Norvegia. Questa tendenza trova riscontro anche Oltreoceano: «nel 2007, infatti, solo negli Stati Uniti i “lungosopravviventi” erano circa 3 milioni e oggi sono 12 milioni», ha continuato De Angelis. Le neoplasie più frequenti fra gli uomini sono quella del colon-retto, della vescica e della prostata e fra le donne quella del colon-retto, dell’endometrio e della mammella. Quet’ultimo cancro comunque ha l’incidenza più alta in entrambi i sessi. I cosiddetti “survivors” sono quindi una popolazione eterogenea rispetto ai bisogni sanitari e destinata comunque ad aumentare, con riflessi sui costi sanitari e sociali che possono diventare esplosivi se non si prendono delle misure adeguate a fronteggiarli.

Almeno il 23% di tutti gli ammalati di tumore guarisce
Ma chi può considerarsi davvero guarito? Secondo uno studio recente pubblicato sul Journal of Clinical Oncology la soglia di guarigione oscillerebbe fra gli 8 e i 12 anni a seconda della sede tumorale. Lo studio AIRTUM si è spinto oltre, «con il fine di stabilire il periodo necessario a considerare avvenuta la guarigione per le 25 più frequenti sedi tumorali (cioè per il 94% di tutti i cancri)», come ha spiegato Luigino Dal Maso, dirigente statistico della struttura operativa complessa di Epidemiologia e Biostatistica del CRO di Aviano (PN). Stefano Guzzinati dirigente statistico dell’Istituto Oncologico Veneto IOV Irccs, ha esemplificato poi il caso del tumore della mammella (non ne moriranno il 72% degli ammalati) e quello della prostata (non moriranno il 64% ), sebbene per entrambi i cancri non siano sufficienti 15 anni di sopravvivenza dalla diagnosi per parlare di effettiva guarigione. Le cose cambiano drasticamente per altri tumori come quello della vescica fra gli uomini, per il quale si registra una percentuale molto bassa di guariti, pari solo al 5%, anche dopo 25 anni dalla diagnosi. E non va meglio per il cancro al polmone per il quale non si verifica nessun miglioramento nella sopravvivenza e solo il 18% di chi si ammala è vivo a distanza di 5 anni. Per altre sedi, più circoscritte, come la tiroide o il testicolo si hanno speranze di guarigione in archi temporali molto più piccoli, anche di un solo anno, sempre in relazione comunque alla fascia di età in cui si è colpiti dal tumore. «Nel complesso e considerando tutte le sedi tumorali, quasi un terzo (il 23% degli ammalati) può considerarsi guarito a distanza di 5 -10 anni – ha annunciato Guzzinati – e si tratta di valori al 1992, sui quali è necessaria cautela poiché nel frattempo le possibilità terapeutiche sono ancora migliorate».

Per vincere le sfide occorre un’alleanza fra tutti gli attori del sistema
Cosa implica tutto ciò in termini di ricadute sulla sanità pubblica? Antonio Federici, consulente del Ministero della Salute, ha affermato che «è necessario inserire questo progresso, dovuto in particolare ai programmi di screening, in un contesto che coniughi responsabilità e sostenibilità economica. Perciò le sfide più importanti riguardano la costruzione di professionalità migliori e l’organizzazione del sistema sanitario». Quattro, secondo Federici, le priorità: il supporto psiconcologico, la riabilitazione, le cure palliative, i percorsi territoriali. «Ma – ha detto – la sfida più grande, quella della riabilitazione, è fuori del sistema sanitario e implica un adeguamento in termini di governance per svolgere funzioni di indirizzo, garantire la realizzazione di politiche regionali, fornire strumenti per l’attuazione della programmazione, stabilire partnership e promuovere una gestione basata sulle nuove conoscenze. Tutti gli attori del sistema dovranno allearsi allo scopo e condividere questo modello cognitivo». E a chi gli chiedeva come rendere più cogenti le normative già esistenti per le Regioni, Antonio Federici ha risposto che verranno disposte verifiche alle amministrazioni locali sulla base dell’impegno rivolto alla promozione dei corretti stili di vita e dell’individuazione degli stadi precoci di malattia. Due parametri che, insieme a quello relativo all’implementazione dei Registri Tumori – strumento indispensabile per la programmazione sanitaria – diverranno così criteri di giudizio e sanzionamento per le Regioni inadempienti.

Le associazioni: più riabilitazione e prevenzione terziaria
Anche secondo la FAVO, Federazione che raccoglie oggi circa il 50% delle associazioni di volontariato oncologico in Italia e che è cresciuta attraverso proprio grazie alla fiducia nella realizzazione di utopie scaturite dalla volontà di migliorare le condizioni di vita degli ammalati di cancro, la riabilitazione è la prossima grande sfida. «Lavoriamo anche per questo dal 2006», ha affermato il presidente Francesco De Lorenzo. «Per una riabilitazione che inizi al momento della diagnosi e continui fino alla fase terminale. Per far ciò è necessario inserirla nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), perché il modello assistenziale si esplichi in quest’ottica e in quella della prevenzione terziaria (che affronti anche gli aspetti nutrizionali, psicologici e della sfera sessuale), per la quale gli oncologi per primi devono attivarsi ed essere di stimolo per i pazienti». Si tratta, insomma, di un vero capovolgimento del paradigma culturale sociosanitario, per garantire il quale è necessaria anche la sensibilità del ministero dell’Economia. Ma è un passo che è indispensabile fare offrire risposte concrete a un esercito di persone che oggi guariscono dal cancro. Perché, dopo aver vinto la loro battaglia, possano riaffacciarsi alla vita in tutta la sua pienezza.

Prolungare i follow up a 10-20 anni per migliorare la qualità di vita
Ad ampliare la fotografia scattata dallo studio AIRTUM ha contribuito anche l’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM). Secondo il presidente Stefano Cascinu, infatti, oggi quasi 800mila persone, pari al 1,5% della popolazione sopravvive al tumore a distanza di 10 anni. Ma con forti disuguaglianze dal punto di vista geografico: se al Nord sopravvive il 5% della popolazione malata, tale valore scende al 2-3% al Sud del Paese. A fronte di miglioramenti che si registrano è necessario, comunque, continuare a seguire i pazienti “guariti” nel tempo per controllare se emergono tossicità cardiache tardive come sequela dei trattamenti antitumorali e/o secondi tumori/recidive. «Ciò implica l’idea di prolungare i follow up anche a 10-20 anni – ha affermato Cascinu – per insegnare come affrontare la vita dopo il cancro, modificando le abitudini (alimentazione e sport), imparando a convivere con gli esiti della patologia, a programmare il ritorno al lavoro e alla vita in generale, alla maternità/ paternità, al pieno recupero delle funzioni cognitive che possono essere state compromesse dalla chemioterapia. È necessario, in ogni caso, evitare di medicalizzare troppo i percorsi rivolti a pazienti complessi che hanno bisogno di supporti a vita per aumentarne la qualità». Anche per questo, il presidente AIOM ha annunciato che gli oncologi si attiveranno per redigere linee guida con il fine di rendere più omogenei gli iter diagnostico-terapeutici, ancora molto differenti tra Regione e Regione.

Rapporto oasi: l’austerity sanitaria scontenta tutti gli italiani
I conti della sanità sono in rosso e aumentano le spese dirette dei cittadini. È quanto emerge dal Rapporto Oasi 2012 dell’Università Bocconi, presentato in occasione del congresso della Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere. Il disavanzo maggiore lo avrebbe toccato il Lazio con 815 milioni di euro, seguito dalla Sardegna con 283 milioni e dal Piemonte con 260. I ticket sui farmaci sono aumentati del 40% nel 2011 e, a causa si ciò, più di un cittadino su due ormai paga ormai di tasca propria visite ed esami. Dallo studio della Bocconi emerge, inoltre, che l’austerity sanitaria e il conseguente taglio dei servizi aumentano l’insoddisfazione dei cittadini, con forti disuguaglianze fra le diverse Regioni. Secondo i dati del Rapporto, infatti, nel Centro-Sud ormai la maggioranza dei cittadini giudica inadeguati i servizi offerti dal nostro Ssn ( 53,5% al Centro e 62,2% al Sud contro una media Italia del 43,9% ). Il 31,7% di assistiti giudica in ogni caso peggiorati i servizi sanitari della propria regione. Altra discriminante nella percezione della qualità dei servizi erogati deriva anche dalla massiccia politica di tagli che le Regioni sottoposte a piano di rientro dal deficit hanno dovuto attuare: ben il 57,8% di chi vive in Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Piemonte, Calabria, Puglia e Sicilia, infatti, si è dichiarato insoddisfatto, contro un 23,3% di “scontenti” delle altre Regioni.

Grandi aspettative dell’ASCO per cancerlinq
L’American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha annunciato la nascita di CancerLinQ, un software accessibile solo a medici che raccoglierà e analizzerà dati sanitari da un enorme network di piattaforme di archiviazione di cartelle cliniche di pazienti oncologici, di trial clinici e genomi sequenziati. L’oncologia e l’information technology sono due campi in rapidissimo e costante mutamento: le nuove scoperte si susseguono a ritmo serrato, ma la pratica clinica quotidiana ancora non riesce a captare del tutto i progressi scientifici. Avere un quadro esatto e completo dei trial in corso e dei risultati ottenuti con i diversi protocolli terapeutici nei vari gruppi di pazienti trattati nei centri specializzati di tutto il mondo è una sfida sempre più complessa per gli oncologi medici, nell’era delle terapie personalizzate: anzi, è un’utopia. Oggi più che mai gli oncologi medici hanno quindi bisogno di un supporto in tempo reale che li aiuti nelle decisioni terapeutiche riguardanti la biologia unica dei pazienti e dei loro tumori. Ecco perché l’ASCO ha puntato forte sul progetto CancerLinQ, un “rapid learning system” che mette in contatto in tempo reale le varie declinazioni della pratica oncologica quotidiana pescando nel mare dei dati clinici finora inaccessibili riguardanti i pazienti reali. Molto spazio verrà dato alle loro vicende, che spesso non vengono portate a conoscenza della comunità scientifica. «Oggi sappiamo molto poco dell’esperienza dei malati di cancro, anche perché i dati dei singoli pazienti vengono nascoste in server scollegati e cartelle cliniche non digitalizzate», ha commentato Sandra M. Swain, presidente dell’ASCO. «CancerLinQ trasformerà tutto ciò, sbloccando l’enorme quantità di informazioni che possediamo, e rendendo ogni paziente “donatore” di conoscenza sul cancro». Il tutto, in ogni caso, nel pieno rispetto della privacy, in quanto il software che l’ASCO sta sviluppando garantisce l’assoluto anonimato delle esperienze degli ammalati. CancerLinQ permetterà di archiviare tutti i dati clinici sui pazienti oncologici in un database capace di aggregarli e analizzarli, identificare trend e associazioni tra innumerevoli variabili, consolidare orientamenti nella comunità degli oncologi o far avanzare nuove ipotesi, subito applicabili e verificabili. «CancerLinQ ha il potenziale di cambiare per sempre l’assistenza ai pazienti oncologici permettendoci di imparare dal percorso terapeutico di ogni singolo paziente, così da poter somministrare il trattamento migliore possibile basato sull’evidenza», ha concluso Swain. L’ASCO ha già presentato un prototipo, frutto di un lavoro imponente durato un anno e che verrà sviluppato nei prossimi 12-18 mesi, per i dati relativi a 100mila donne affette da cancro al seno nei principali centri di ricerca oncologici Usa. Quando sarà a regime CancerLinQ raccoglierà i dati di 133mila pazienti e sarà ovviamente uno strumento le cui implicazioni potrebbero avere risvolti decisivi per il futuro dell’oncologia.

Cancro ovarico: a Forlì parte registro italiano sulla Hipec
Saranno i chirurghi dell’équipe di Chirurgia e Terapia Oncologiche dell’Ausl di Forlì, diretta Giorgio Maria Verdecchia, a organizzare e gestire il primo registro italiano relativo ai trattamenti integrati con chemioipertermia intraperitoneale (Hipec, Hypertermic Peritoneal Chemoteraphy) nel carcinoma ovarico. I chirurghi forlivesi hanno ricevuto questo incarico dalla Società Italiana di Chirurgia Oncologica (Sico) che, per favorire i progressi nella ricerca e nella cura di tale patologia, ha deciso di creare un apposito archivio, battezzato con l’acronimo ArTICI (Archivio Trattamenti integrati Chemioipertermia Intraperitoneale). Il registro, basato su una piattaforma informatizzata, è nato con il fine di agevolare il coordinamento fra tutti i Centri che In Italia eseguono interventi chirurgici radicali associati a chemioipertermia intraperitoneale per gli stadi avanzati del cancro ovarico, impegnandosi a raccoglierne i dati, analizzarli, e divulgarli in ambito scientifico. «Il primo scopo del progetto – ha spiegato Verdecchia – è quello di verificare la diffusione in Italia della chemioipertermia peritoneale, valutando la morbilità, la mortalità e l’efficacia del trattamento, attraverso l’analisi dei risultati oncologici a distanza, verificando la sopravvivenza globale e libera da malattia. L’analisi informatizzata può ricostruire la storia della malattia e valutare i risultati oncologici in funzione delle caratteristiche della paziente, della neoplasia, del trattamento chirurgico e del momento nel quale l’Hipec e i trattamenti complementari sono stati inseriti nell’evoluzione della malattia stessa». Nell’archivio è possibile registrare le varie fasi del trattamento – chemioterapia, chirurgia e Hipec – e i successivi controlli clinici. Il sistema è, inoltre, in grado di tracciare e schematizzare cronologicamente le tappe, fornendo ad ogni Centro la possibilità di archiviare e analizzare i propri dati. La chemioipertermia intraperitoneale, una delle più promettenti procedure nel trattamento del cancro ovarico in fase avanzata, si basa sull’infusione diretta nel peritoneo di chemioterapici ad alte concentrazione e a temperatura e si esegue al termine dell’asportazione chirurgica delle localizzazioni addominali di malattia, cioè della carcinosi. In Europa, Francia e Gran Bretagna hanno già avviato studi multicentrici per raccogliere casistiche omogenee e sufficientemente corpose per confermare l’efficacia terapeutica della Hipec, e annoverarla quindi fra gli standard di trattamento. In Italia proprio all’équipe forlivese va il merito di aver promosso e sostenuto il dibattito fra gli specialisti, in particolare chirurghi, ginecologi, e medici oncologi, coinvolgendo le rispettive società scientifiche. I protocolli di ricerca italiani sono stati, infatti, oggetto di presentazione, discussione in vari incontri a Forlì da chiurghi oncologi del team di Andrea Amadori, responsabile dell’U.O. di Ginecologia Ostetricia dell’Ausl del capoluogo romagnolo.

Se il cancro penalizza i più anziani
Uno studio dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova e del Gruppo di lavoro AIRTUM sui trend nazionali 1998-2005 riguardante le classi d’età più anziane (50-69 anni e oltre i 70 anni) arriva alla conclusione che, paragonati ai coetanei statunitensi, i malati di cancro italiani della terza e quarta età hanno prospettive di vita peggiori. E meno buone anche rispetto ai pazienti italiani un po’ più giovani (tra i 50 e i 69 anni). La ricerca, che approfondisce i dati sui trend nazionali del 2009, ha confrontato i tassi di incidenza e di mortalità dei maggiori tipi di cancro nella fasce più anziane della popolazione (50-69 anni e oltre i 70 anni d’età) e nei due sessi, in Italia e negli Usa, dal 1998 al 2005. Confrontando i dati italiani AIRTUM con quelli statunitensi dei registri aderenti al SEER, per quanto concerne l’incidenza, e dell’OMS per quanto concerne la mortalità, è emerso che negli Usa i tassi di incidenza del cancro del colon retto tendono a diminuire in entrambi i gruppi di età e nei due sessi, mentre in Italia aumentano proprio tra i più anziani. Peggio va per la mortalità, in diminuzione solo Oltreoceano. Lo stesso accade per il cancro della prostata: se negli Usa l’incidenza rallenta e la mortalità si riduce per entrambi i gruppi di età, in Italia ciò è vero solo per i malati tra 50 e 69 anni. “Confrontare gli andamenti di incidenza e mortalità per classi di età”, hanno scritto gli autori, “è cruciale per capire i bisogni specifici dei malati più anziani e per migliorare le procedure cliniche”.

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