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La leucemia guarita da mamma e papa

Corrado Marino, N. 1/2 gennaio febbraio 1999

Una nuova favorevole prospettiva sembra sul punto di aprirsi per chi è in attesa di trapianti di midollo. Non si tratta della soluzione per tutti i casi - il trionfalismo è sempre da evitare - ma di un importante passo in avanti per quel 30-35% di malati leucemici che oggi non trovano un donatore. Circa il 25% dei soggetti bisognosi di trapianto può essere trattato opportunamente grazie alla presenza di un fratello; un ulteriore 40-45% può ricevere il midollo da un donatore estraneo con caratteristiche genetiche compatibili con le proprie, mentre per i restanti la ricerca è destinata a rimanere infruttuosa. Non che manchino i potenziali donatori, che attualmente in Italia sono quasi 300 mila (su 5 milioni in tutto il mondo, il che fa del nostro paese uno di quelli all'avanguardia nel settore), piuttosto il problema è che in molti casi non si riesce a trovare un donatore idoneo (cioè con caratteristiche istocompatibili). In ogni caso la ricerca può richiedere parecchio tempo, nell'ordine dei 4-6 mesi, il che è molto, e talora decisamente troppo, quando si ha a che fare con patologie dal decorso rapido e infausto. Già un progresso si è registrato con il trapianto di sangue placentare, prelevato dal cordone ombelicale al momento del parto, senza alcun fastidio né pericolo per la madre e per il neonato. Si tratta di un metodo che la Clinica pediatrica del policlinico San Matteo di Pavia per prima in Italia (e seconda in Europa) ha messo a punto e sta usando da qualche tempo con successo, ma il limite è che questo tipo di trapianto non può essere usato su pazienti con peso corporeo superiore ai 40 kg, quindi è praticabile solo su bambini. La spiegazione del perché sia così difficile trovare un donatore, a differenza di quanto avviene ad esempio per il sangue, "sta nell'estrema differenziazione del Sistema Maggiore di Istocompatibilità (HLA) - spiega Franco Locatelli, uno dei ricercatori, responsabile del Reparto Oncoematologico della Clinica Pediatrica del Policlinico San Matteo di Pavia, - che presenta un numero pressoché infinito di combinazioni. La ricerca di due soggetti simili sotto questo aspetto offre maggiori possibilità di successo in presenza di gruppi fortemente omogenei, come gli abitanti delle isole che hanno avuto limitati contatti con il resto del mondo". E' il caso della Sardegna, che nella sua storia ha subito invasioni, con modesti trasferimenti di persone da fuori, o del Giappone, vissuto per secoli in una sorta di "splendido isolamento". Al contrario la differenziazione genetica è assai forte in regioni quali le Puglie e la Sicilia, dove ci sono state massicce immissioni di soggetti provenienti da tutto il Mediterraneo, dai Balcani e dall'Europa Settentrionale.
La nuova metodica è in fase di avanzata sperimentazione. "Ad essa stanno lavorando - precisa Locatelli - la biologa Rita Maccario e la pediatra Patrizia Comoli". Per dirla in termini assai semplici, la nuova metodica consiste nel prelevare sangue e midollo da uno dei genitori, trattandoli in modo da neutralizzare gli effetti negativi in termini di "aggressività" verso l'organismo del ricevente, e al tempo stesso conservare immutate le caratteristiche positive per quanto riguarda le difese immunitarie contro infezioni virali, miotiche ecc. nonché contro le cellule tumorali presenti nell'organismo del soggetto trapiantato. Un genitore presenta evidentemente una parziale affinità con il figlio, al quale trasmette metà del proprio patrimonio genetico, senza un preventivo trattamento, di sangue e midollo. Tale manipolazione consiste nell'eliminazione dei T-linfociti, così da ridurre a meno dell'1% la "naturale" aggressività nei confronti del nuovo organismo, ma in tal modo, risolto un problema se ne crea un altro ugualmente grave. Il paziente si troverebbe infatti a disporre di assai limitate difese immunitarie (un po' come accade a chi è affetto da HIV). Come detto, in un tale stato aumenterebbe anche il riacutizzrsi di leucemia, talassemia ecc. così da creare un circolo vizioso tale da rendere praticamente inattuabile la metodica in questione. E' un po', detto banalmente, il problema della coperta troppo corta, che in questo caso però si è riusciti ad allungare (così si ricava dai risultati ottenuti nel corso della sperimentazione in atto) fino a... coprire sia la testa che i piedi. Per arrivare a questo risultato occorre poter reimmettere gradualmente e in modo approppriato le cellule emopoietiche, rese innocue nei confronti del ricevente, ma ancora in grado di svolgere un'efficace opera di contrasto nei confronti di agenti patogeni esterni o già presenti nell'organismo del trapiantato.
"La sperimentazione "in vitro" - afferma Locatelli - si è conclusa con risultati decisamente positivi e incoraggianti ed è in corso quella sui modelli animali. Se tutto procederà come si spera, entro il corrente anno si potranno avere le prime applicazioni utili su pazienti che non avrebbero altrimenti la possibilità di trovare un donatore".
Una scoperta nel campo delle patologie tumorali del sangue potrebbe avere riscontri positivi anche in altri settori, migliorando le condizioni di vita dei pazienti trapiantati. Infatti, la nuova metodica potrebbe offrire interessanti prospettive anche nel campo dei trapianti di organi (cuore, reni, fegato) e già negli Stati Uniti ci si sta muovendo in tale direzione. Se insieme all'organo si potrà immettere nel paziente trapiantato sangue del donatore, trattato nel modo che abbiamo appena descritto, dovrebbe sensibilmente ridursi il rischio di rigetto e quindi si potrebbe limitare, o addirittura sospendere, la terapia immunosoppressiva. Il paziente dopo il trapianto deve sottoporsi a un trattamento piuttosto pesante, che finisce per compromettere almeno in parte le difese immunitarie, esponendolo a infezioni di varia natura che non di rado possono risultagli fatali. Così invece si renderebbe più accettabile all'organismo del ricevente l'organo "estraneo", senza perciò dover colpire il sistema immunitario. Una scoperta nel campo delle patologie tumorali del sangue potrebbe avere riscontri positivi anche in altri settori, migliorando le condizioni di vita dei pazienti trapiantati.

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